Il Concilio di Pietra
di Jean-Christophe Grangè
Non pago del tempo sprecato per Il Volo delle Cicogne, ho pensato bene di insistere con il terzo romanzo di Jean-Christophe Grangè. A mia scusante il fatto che è scritto dopo I Fiumi di Porpora, cosa che mi ha fatto credere di avere tra le mani un lavoro di qualità, magari non a quel livello.
Errore. Non tragico come nel caso di Il Volo delle Cicogne, ma comunque rimarchevole.
La protagonista è una giovane etologa, che ha subito una violenza sessuale da adolescente, restando traumatizzata psicologicamente e fisicamente. Quando decide di adottare un bambino, entra in una spirale di avvenimenti che la portano fino in Mongolia, dove incontrerà una popolazione che si credeva scomparsa, coinvolta in passato in esperimenti crudeli.
Tralascio il fatto che il personaggio principale abbia la stessa carica di simpatia di un granchio nelle mutande; ci può stare che una persona che ha subito esperienze fortemente traumatiche sia piena di risentimento. Però è difficile farsi coinvolgere da un protagonista che non ha nessuna empatia con il lettore.
La storia è appena passabile, con qualche caduta di stile: anche qui Lagrangè cade nell'errore di trasformare un'occhialuta etologa in un killer in grado di sistemare 3 mercenari prezzolati; ma l'autore si deve essere reso conto della cosa, e la spiega con il fatto che la nostra eroina ha trovato il tempo di diventare campionessa di arti marziali in precedenza. Vabbè.
Quello che è davvero insostenibile, al limite del ridicolo, è il finale. Anzi, togliamo pure "al limite": è ridicolo. Mi ha fatto pensare a B-Movie di pessima qualità; siamo al livello di Snakes on a Train, capolavoro trash che non potete non avere visto. E se non l'avete visto, vi consiglio di rimanere nell'ignoranza e di accontentarvi di leggere la trama al link precedente.
Ecco, il finale di Il Concilio di Pietra si mette su questo livello.
Non dico altro, se non che per un bel pezzo non prenderò più in mano un lavoro di Grangè.
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